Scenario
Alla ripresa avviata nel 2021 si sono via via sostituiti nel corso del 2022 indizi di un profondo rallentamento del ciclo economico internazionale.
La produzione mondiale si è contratta nel secondo trimestre di quest’anno, a causa delle flessioni registrate in Cina, mentre la spesa per consumi negli Stati Uniti ha deluso le aspettative.
Diversi shock hanno colpito un’economia mondiale già indebolita dalla pandemia: un’inflazione superiore alle attese, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, dove sta innescando un ciclo di aumenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali nel tentativo di tenere sotto controllo i prezzi; un rallentamento della crescita peggiore delle attese in Cina a causa di nuovi focolai di Covid-19 con nuovi lockdown locali; e infine ulteriori ricadute negative dalla guerra in Ucraina.
La previsione di base del Fondo Monetario Internazionale indica un rallentamento della crescita globale: dal 6,1% dello scorso anno al 3,2% nel 2022; 0,4 punti percentuali in meno rispetto alle previsioni contenute nel World Economic Outlook di aprile 2022.
Negli Stati Uniti, la minore crescita all’inizio di quest’anno, il ridotto potere d’acquisto delle famiglie e l’inasprimento della politica monetaria hanno determinato una revisione al ribasso del PIL, ora stimato al 2,3% nel 2022.
In Cina, ulteriori lockdown e l’aggravarsi della crisi immobiliare hanno portato a una revisione delle previsioni di oltre un punto percentuale, fissando la crescita al 3,3%.
In Europa, i significativi declassamenti delle diverse economie del continente riflettono le ricadute della guerra in Ucraina e una politica monetaria della BCE che si avvia a essere più restrittiva, data la crescita dell’inflazione a luglio 2022 dell’8,9% nell’Eurozona e del 9,8% nella UE, che porta a una decelerazione del PIL nell’Eurozona ora stimata al 2,6% nel 2022.
Nel 2023 si prevede un ulteriore rallentamento mondiale con un PIL globale in crescita di appena il 2,9% secondo lo scenario di base elaborato dal Fondo Monetario Internazionale.
Le previsioni indicano un rallentamento significativo per il gruppo delle Economie avanzate con un aumento medio del PIL complessivo pari a +1,4%, con scostamenti non rilevanti tra l’economia USA (+1%) e dell’Eurozona (+1,2%), mentre si manterrebbe simile per intensità al precedente anno per il Giappone (+1,7%).
La Cina recupererebbe parzialmente il terreno perduto, ma la progressione sarebbe ancora inferiore ai tassi di crescita sperimentati negli anni precedenti (+4,6%).
Lo scenario di base secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale potrebbe peggiorare se dovessero materializzarsi ulteriori elementi depressivi: l’accelerazione della dinamica inflazionistica, il proseguimento della guerra in Ucraina con il blocco delle importazioni europee di gas dalla Russia, la crisi dei debiti sovrani dei mercati emergenti a causa di condizioni finanziarie più restrittive e l’acuirsi della frammentazione geopolitica che potrebbe ostacolare il commercio e la cooperazione globale.
In tale peggioramento dello scenario la crescita si collocherebbe al 2,6% nel 2022 e al 2% nel 2023.
La revisione al ribasso delle stime del Fondo Monetario Internazionale non ha riguardato l’Italia, che si colloca addirittura in controtendenza per il 2022, con un miglioramento dello 0,7% rispetto alla previsione di aprile: la crescita è stimata infatti al 3% nel 2022 per poi rallentare in maniera significativa allo 0,7% nel 2023.
Il trend è confermato da altri previsori, ma con differenti scale di intensità: le stime della Banca d’Italia sono tuttavia le più ottimiste per il 2022 con un aumento del PIL (+3,2%), in linea con quanto stimato dal Governo nel documento di economia e finanza (+3,1%), mentre per il 2023 si osserverebbe un rallentamento meno marcato (+1,7%) rispetto al Fondo Monetario.
Le stime Istat si mantengono invece più caute per il 2022 (+2,8%): la dinamica del PIL verrebbe trainata dalla domanda interna che contribuirebbe positivamente per 3,2 punti percentuali.
La fase espansiva dell’economia italiana è prevista estendersi anche al 2023, sebbene con una intensità più contenuta (+1,9%), sostenuta interamente dal contributo della domanda interna (1,9 punti percentuali).
Accelera inoltre la dinamica inflazionistica, a luglio l’inflazione registra un aumento dello 0,4% rispetto al mese precedente e del 7,9% su base annua.
Accelerano su base tendenziale sia i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +8,2% a +9,1%) sia quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +8,4% a +8,7%). In questo quadro accelera anche la crescita dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa”, che si porta a +9,1%, registrando un aumento che non si osservava da settembre 1984.
Il focus sui contributi alla formazione del valore aggiunto nel secondo trimestre 2022 evidenzia dal lato settoriale una dinamica tendenziale particolarmente intensa da parte delle costruzioni (+16,1%) e dei settori commercio, riparazione di veicoli, trasporto, magazzinaggio, alloggio e ristorazione (+10,3%) e delle attività artistiche di intrattenimento e divertimento (+8,5%), che contribuirebbero quindi in misura significativa al sostegno della dinamica dei servizi (+4,6%).
La situazione congiunturale anomala che si è determinata a seguito delle misure di lockdown, con fortissimi shock sia da domanda che da offerta, ha indotto Eurostat a raccomandare agli istituti di statistica nazionali di trattare l’ultima osservazione delle varie serie storiche come un “outlier”. Ciò ha comportato, da marzo, l’utilizzo di nuovi criteri di destagionalizzazione (l’elaborazione che consente di depurare il dato grezzo da effetti di calendario e stagionali). Tali criteri hanno avuto come effetto quello di traslare progressivamente solo sull’ultima osservazione disponibile tutto l’impatto, positivo o negativo.
L’identificazione dell’ultima rilevazione come “outlier” è stata decisa da Eurostat in via provvisoria, al fine di evitare meccaniche revisioni all’indietro delle serie storiche, come sarebbe successo utilizzando i vecchi parametri che suddividevano - anche se parzialmente - sui mesi precedenti l’impatto del nuovo dato, secondo le consuete metodologie statistiche di destagionalizzazione. Le conseguenze sarebbero state significative per molti indicatori, incluso il PIL.
Quando la situazione si normalizzerà, sarà pertanto necessario da parte di Eurostat rivedere di nuovo i parametri e ciò potrebbe determinare importanti revisioni dei dati, inclusi quelli dei trimestri appena trascorsi.
Sulla base di queste considerazioni, il criterio più agevole e ragionevole per interpretare l’attuale fase economica è quello di analizzare le variazioni tendenziali dei dati grezzi che non sono trattati statisticamente, ovvero le variazioni delle diverse variabili oggetto di indagine (produzione, fatturato e ordini), rapportate allo stesso periodo dell’anno precedente. Tale considerazione è valida soprattutto per i territori di piccole dimensioni, che sono soggetti a oscillazioni molto ampie delle variabili utilizzate per descrivere la dinamica manifatturiera e dove il campione oggetto di rilevazione tende ad autoselezionarsi più rapidamente rispetto ad altre aree territoriali.